Oltre
il reale, Più che reale,
solide
visioni d’artista
di
Valeria Arnaldi
Architetture
rovesciate, costruzioni che si alzano verso il cielo e diventano invece calpestabili in
terra nella banale quotidianità di una pozzanghera, lacrima di città trascurate da
passanti distratti. Paesaggi caramellosi, deformati dallo sguardo fiabesco di una
tradizione culturale che della memoria d’infanzia finisce per fare “filtro”
ad addolcire il giorno e i suoi possibili rigori, inevitabili nel contrasto con
l’invenzione fantastica.
Mondi da fumetto, rubati a riviste patinate
– e alle loro icone – in una commistione di codici che finisce per mascherare i
suoi soggetti, proprio quando li mette a nudo. Figure mitiche, ideate dall’uomo ma
consacrate a una naturale e suggestiva età dell’oro. Promesse naif di mondi
migliori, che sconfessano le speranze di Voltaire e invece “crudezze” spente,
schiaffi di vita comune che costringono l’essere alla prigione del gesto ripetitivo,
parabola stanca dell’abitudine.
Da un lato, la realtà dura della vita di
tutti i giorni, che non è sanguigna violenza ma tacita costrizione – non per questo
meno feroce - di un presente che ambisce al Cielo ma è costretto a rimanere a terra.
Dall’altro, la realtà dei “ceppi sciolti”, dove l’idea
dell’artista scardina il ritmo del vivere.
Sono due visioni distanti e contrapposte
quelle illustrate in mostra, quella dell’artista fedele ritrattista del reale e
quella dell’artista che, invece, del reale preferisce farsi costruttore, se non
creatore. Doppia anima di un universo e di più linguaggi dichiarata sin dal titolo,
“Oltre il reale/Più che reale”, a fare manifesto del potere dell’artista
di ergersi a creatore di un universo condivisibile, a più dimensioni e per più letture.
La definizione “più che reale”
intende ricordare la tendenza alla riproduzione fedele dell’iper-realismo, che supera
l’etica per valorizzare l’estetica, invitando però il singolo a valicare i
limiti del dato e del noto – ecco l’Oltre il reale – per raccontare il suo
orizzonte interiore, quello stimolo che è al contempo motore e ispirazione della sua
vocazione all’arte. Ragione del suo spendersi per la creazione del bello.
Alla specularità dell’arte come
documento e testimonianza del suo tempo si contrappone dunque la “deformazione”
del riflesso prodotta dalla riflessione. Questo è d’altronde l’obiettivo
dell’esposizione. Riflettere e far riflettere. La doppia anima estetica si traduce in
una doppia anima anche costruttiva.
Così, la mostra vuole farsi sondaggio del
contemporaneo per scoprire pulsioni e tensioni del momento presente e individuare forze ed
energie immaginifiche dell’attualità. Ma vuole pure farsi oggetto di dibattito.
L’orizzonte è libero da ogni pregiudizio e ogni giudizio, lo spazio espositivo si
conferma luogo dell’incontro, la collettiva diventa salotto culturale per raccontare
e raccontarci non solo i linguaggi dell’arte ma il contenuto dei suoi nuovi messaggi,
alla ricerca di un equilibrio “di crisi”, tra posso e vorrei.
Protagonista è comunque la realtà, nelle
sue molteplici facce. Ciò che qui diventa reale è, infatti, ciò che come tale viene
percepito.
Realtà dell’orizzonte dunque, nella
sua concretezza esteriore, ma soprattutto realtà dell’invenzione interiore, libera
interpretazione dunque, “costruzione”.
All’artista la libertà di scegliere
come e cosa raccontare, tra sguardo e pensiero, percezione e proiezione. |
