Lo spettatore accorto " Artemisia "   di C.Scillamà

 

Scritto da Vincenzo Sanfilippo   


Teatro    Lo spettatore accorto

CON VIGORE  BIBLICO

Artemisia di Carlangelo Scillamà
Con Federico Frignani, Monica Menchi, Elena Salvi
Regia di Gabriele Tozzi. Roma,Teatro Tordinona

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Lo spettacolo di Scillamà colpisce per la ricostruzione simile a un “tableau   vivant” dai  chiaroscuri psicologici della pittura caravaggesca; e ricostruisce le ragioni di una così grande carica di violenza sia fisica che verbale, quale rivalsa di vendetta di Artemisia nei confronti dell’uomo, per altro suo maestro di Bottega, che  abusò di lei.
Il quadro iniziale visualizza la fierezza della protagonista Monica Menchi nel ruolo della pittrice Artemisia Gentileschi ( Roma 1593- Napoli 1653), la quale elabora con freddo e determinato eloquio recitativo, simile ai chiaroscuri pittorici, la sua vendetta per lo stupro, il processo e le maldicenze subite, attraverso l’elaborazione del suo dipinto “Giuditta e Oloferne”.

La regia di Tozzi evidenzia il bel testo di Scillamà attraverso il movimento brusco ma bloccato, rappreso, in cui l’ampiezza del gesto della lucente lama converge in una coinvolgente durissima pantomima della violenza. Molto curata l’impaginazione dei quadri scenici, la gestualità   degli attori, l'impassibilità di Artemisia-Giuditta, il suo sforzo nel tenere ferma la testa di Oloferne, il generale che a sua volta tenta di respingere la serva che aiuta la protagonista a decapitare il nemico.
La teatralità di un corpo senza più testa  sconfina nel gran recitativo della morte quale favola truculenta del "ventre viscerale" del teatro,  il cui ordito letterario di Scillamà è giocato tra perdizione e salvezza.

La decapitazione  "segnala" comunque i messaggi biblici dell’antico e del nuovo testamento, i quali possono avere analogia con i cicli iconografici e letterari- anche incrociati- di Giuditta e Oloferne,  Davide e Golia, Salomè e il Battista. Ecco allora che Giuditta-Menchi decanta la sua azione come eroina della libertà riconquistata: Oloferne è l’immagine della cattività, del maligno sgozzato. Il suo atto violento diventa il gesto biblico che utilizza l’energia di una donna che salva il suo popolo e “partorisce la libertà”.
L’efferato gesto, violento proprio nella sua intima predisposizione, è dunque al centro della geometria della storia  riscritta e ricostruita  dall’autore con veemenza epica.
Uno spettacolo di pregio, nel panorama della nuova drammaturgia italiana, molto seguito e applaudito dal pubblico del Tordinona.